Le ASD possono fare a meno del defibrillatore? Non è proprio così, vediamo perché.
A luglio scorso il Ministro della Salute e il Ministro dello sport hanno rilasciato le “linee guida sulla dotazione e l’utilizzo dei defibrillatori da parte di associazioni e società sportive dilettantistiche”, il documento che avrebbe dovuto una volta per tutte fare chiarezza su quanto previsto dal Decreto Balduzzi in tema di defibrillatori – Articolo 5 del decreto 24.04.2013 del Ministero della Salute – e sancirne finalmente l’attuazione dopo oltre quattro anni di attesa e proroghe. Avrebbe dovuto, ma è andata veramente così?
Quattro anni di attesa
Perché il Decreto Balduzzi sui defibrillatori non diventò immediatamente operativo? In parte perché il Decreto stesso prevedeva, per le realtà dilettantistiche, un periodo di adattamento di 30 mesi; in parte perché alcuni punti erano poco chiari e in particolare quello su come considerare le attività che si svolgono all’aria aperta e in particolare in aree non vicine ad impianti e sedi associative.
Non è chiaro? Proviamo con un esempio. Immaginate di essere il presidente di un’associazione di Nordic Walking, la domanda sorge spontanea: Devo portare il defibrillatore ad ogni uscita? E se l’attività è divisa in gruppi, ogni gruppo dovrà portare un defibrillatore con sé?
Domande e dubbi non trascurabili che sono rimaste per molto – troppo – tempo senza risposta.
Il nuovo Decreto, cosa dice?
La prima domanda che dobbiamo porci è abbastanza semplice: il Decreto interministeriale chiarisce il precedente dubbio? L’associazione di Nordic Walking ha avuto le sue risposte?
Fortunatamente sì, il nuovo Decreto ha sancito che le associazioni e le SRL Sportive sono obbligate ad accertarsi che ci sia un defibrillatore solo quando esercitano attività all’interno di un impianto sportivo a carattere permanente. Perciò, se svolgo attività su strada pubblica, o nei boschi, o ancora in un parco, non avrò l’obbligo di portare con me il defibrillatore.
Non solo, il nuovo Decreto dice anche che la presenza di una persona formata all’utilizzo del defibrillatore è obbligatorio solo in caso di gare e manifestazioni agonistiche e/o competitive.
Detta così sembrerebbe una liberazione per molte società: il defibrillatore sarebbe obbligatorio solo per chi fa attività all’interno di un impianto sportivo e il personale formato necessario solo in caso di gare. Quindi, per fare un esempio che mi è capitato di sentire, chi fa corsi di Pilates in una sala comunale potrà fare a meno del defibrillatore e non dovrà fare il corso BLSD, giusto? Purtroppo la risposta non è un semplice sì.
Il Decreto Interministeriale del 2017 non cancella le disposizioni del Decreto Balduzzi, ma le integra.
Quali dubbi rimangono?
Ci sono infatti almeno due grosse questioni che non ci consentono di considerare la questione defibrillatori chiusa in maniera definitiva: la definizione di impianto sportivo e il rapporto tra il Decreto interministeriale del 2017 e il Decreto Balduzzi.
- Cos’è esattamente un impianto sportivo? L’articolo 2 del decreto Ministero dell’Interno 18 marzo 1996 lo definisce come “l’insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori preposti allo svolgimento di manifestazioni sportive” comprendendo gli impianti sportivi all’aperto e quelli al chiuso. Una definizione piuttosto vaga che non ci permette di escludere del tutto chi fa attività, ad esempio, nella sala di un patronato. È bene precisare però che alcuni limitano la definizione di impianto sportivo solo a quegli impianti effettivamente omologati da Federazioni ed Enti. Un’interpretazione che è verosimile, ma che rimane un’interpretazione.
- Il Decreto Balduzzi non è stato abrogato o corretto, ma semplicemente integrato. Questo significa che ciò che vi è contenuto è da ritenersi ancora valido e le linee guida allegate al decreto del 2013 parlano chiaro: “ Fermo restando l’obbligo della dotazione di DAE da parte di società professionistiche e dilettantistiche, si evidenzia l’opportunità di dotare, sulla base dell’afflusso degli utenti e di dati epidemiologici, di un defibrillatore anche i luoghi quali centri sportivi, stadi palestre, ed ogni situazione nella quale vengono svolte attività in grado di interessare l’attività cardiovascolare”. L’intenzione è quindi quella di far sì che ogni struttura dove si svolge attività fisica si doti di defibrillatore. Questo significa che, se siete il gestore di una palestra, o di un impianto non omologato da alcuna federazione o ente, potreste comunque essere responsabili se dovesse succedere qualcosa.
Concludendo, che fare?
Allora, proviamo ad appigliarci ad alcune certezze in tutto questo marasma:
Attività svolta fuori dagli impianti. Se svolgete attività fuori da un impianto – poco importa se omologato o meno – potete fare a meno del defibrillatore, su questo non vi sono dubbi. Esempi: ciclismo, alpinismo, corsa, scialpinismo, attività di corsi svolta in luoghi pubblici come parchi, o piazze.
NB: attenzione se svolgete attività in un parco pubblico, a volte sono parte di impianti sportivi. In questo caso accertatevi di avere accesso al defibrillatore
- Attività svolta all’interno degli impianti. Visto quanto sopra detto, la definizione di impianto sportivo, omologato o meno, diventa quando una questione di lana caprina. Il Decreto Balduzzi, nelle sue linee guida, indica per le strutture ove si svolge attività sportiva a impatto cardiovascolare la necessità di dotarsi di defibrillatore. Certo, è un’indicazione, ma non vorrei trovarmi nei panni del presidente che ha scelto deliberatamente di fare a meno del DAE per la scuola di ballo e si ritrova con un socio a cui viene un infarto (facciamo le corna, d’accordo).
Il consiglio, se operate all’interno di una struttura chiusa, è quello di dotarsi di defibrillatore e di personale formato con il corso apposito. Se poi svolgete attività in strutture che raggruppano più associazioni, provate a sottoscrivere un accordo per suddividere i costi di acquisto e gestione: la Legge non vi obbliga ad avere il vostro defibrillatore, semplicemente dovete avervi accesso in caso di necessità.
Un defibrillatore gestito da più associazioni significa garantire la sicurezza a costi inferiori e senza sprechi.
Ovviamente il consiglio è valido per tutte quelle attività che non siano espressamente escluse dal Decreto perché a basso impatto cardiovascolare. In questo caso è opportuno sentire anche la regione di competenza perché alcune leggi regionali ampliano il numero delle discipline escluse.
BLSD, o PSSD? Meglio non dover scegliere.
Un’ultima postilla, ovvero il veleno è nella coda.
Il Decreto Balduzzi ha fatto un po’ di confusione – strano, vero? – anche relativamente alla tipologia di corso che gli operatori dovrebbero frequentare. In alcuni punti del Decreto si cita il protocollo BLSD (Basic Life Support Defibrillation), mentre in altri – Articolo 5, comma 7 – si parla di PSSD (Pronto Soccorso Sportivo Defibrillato). CONI e la Federazione Medici Sportivi hanno rilasciato circolari in cui sottolineano come quest’ultimo sia il protocollo corretto – tirando acqua al proprio mulino, ovviamente – ma la stragrande maggioranza degli operatori in questi anni ha fatto il corso BLSD.
Qual è il rischio? Se CONI e FMSI dovessero insistere con questa interpretazione restrittiva decine di migliaia di persone potrebbero essere costrette a rifare il corso seguendo il protocollo PSSD. Un’ipotesi decisamente surreale.
La speranza è che nessuno forzi la mano e che si scelga una di far convivere i due protocolli senza inutili aggravi per gli operatori del settore sportivo.
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